Sentieri d'Ombra: Il Segreto dell'Altopiano

 


 

L'aria greve dell'Altopiano di Asiago pesava sulle spalle di Ermes e Marina come un mantello di piombo. Il cielo, un tetro sipario di nubi plumbee, sembrava chiudersi su di loro, mentre i pneumatici delle loro biciclette mordevano l'asfalto umido con un sibilo sinistro.

"Ermes," sussurrò Marina, la voce tremante come foglie autunnali, "non trovi che questo silenzio sia... innaturale?"

Il suo compagno, gli occhi fissi sulla strada che si snodava davanti a loro come un serpente assopito, annuì lentamente. "È come se l'Altopiano stesso trattenesse il respiro, in attesa di qualcosa."

Il loro viaggio era iniziato come molti altri: un'avventura cicloturistica, la promessa di panorami mozzafiato e aria frizzante di montagna. Ma fin dal primo colpo di pedale, un'inquietudine sottile si era insinuata nei loro cuori, come un'ombra che si allunga al crepuscolo.

La salita verso Fara Vicentino aveva rivelato un paesaggio che mutava non solo in altitudine, ma in essenza. Gli alberi, un tempo familiari, assumevano forme contorte, i loro rami simili a dita scheletriche protese verso un cielo sempre più ostile.

"Guarda," disse Ermes, indicando un punto tra gli alberi, "quella non è la casa che abbiamo superato mezz'ora fa?"

Marina seguì il suo sguardo, il sangue che le si gelava nelle vene. La stessa costruzione decrepita, con le sue imposte sbarrate e il tetto cadente, li fissava con finestre vuote come orbite di un teschio.

"Impossibile," mormorò, "stiamo salendo, non possiamo essere tornati indietro."

Eppure, mentre proseguivano, il senso di déjà vu si intensificava. Paesaggi che avrebbero dovuto essere unici si ripetevano con una monotonia inquietante, come se l'Altopiano fosse intrappolato in un loop temporale perverso.

Giunsero a un bivio non segnato sulle loro mappe. Un sentiero si inoltrava nel bosco, l'altro proseguiva lungo la strada principale. Un corvo gracchiò da un ramo vicino, il suo verso simile a una risata beffarda.

"Prendiamo il sentiero," decise Ermes, "forse ci porterà a un punto panoramico."

Il sentiero si rivelò essere un tunnel vegetale, le fronde degli alberi intrecciandosi sopra le loro teste in una volta verdeggiante che filtrava una luce spettrale. L'aria divenne più densa, carica di un odore dolciastro e nauseabondo.

"Senti questo profumo?" chiese Marina, la voce ridotta a un sussurro rauco.

Ermes annuì, il volto una maschera di preoccupazione. "Ricorda i fiori di una pianta carnivora che vidi una volta in un documentario. Ma è impossibile, siamo in montagna, non nella giungla."

Proseguirono, i loro sensi in allerta. Il sentiero si restringeva, costringendoli a procedere in fila indiana. Fu allora che lo videro: un groviglio di rovi e liane che pulsava come dotato di vita propria.

"Ermes," la voce di Marina era un filo sottile di terrore, "quella cosa... si sta muovendo?"

Prima che potesse rispondere, un tentacolo vegetale scattò verso di loro, avvolgendosi attorno alla caviglia di Marina. Lei urlò, un suono acuto che squarciò il silenzio innaturale del bosco.

Ermes si lanciò in avanti, estraendo il coltellino multiuso dalla tasca. "Resistiti, Marina! Ti libero subito!"

Ma per ogni liana che tagliava, altre due prendevano il suo posto. Il groviglio sembrava animato da una volontà maligna, determinato a trascinare Marina nel suo abbraccio mortale.

"Ermes!" gridò lei, le unghie che scavavano nel terreno mentre veniva trascinata via, "Aiutami! Non lasciarmi!"

Lui lottò con tutta la sua forza, ma era come combattere contro la foresta stessa. In un attimo di disperazione, Ermes afferrò la mano di Marina, i loro sguardi che si incrociavano in un ultimo, terrificante addio.

"Ti amo," sussurrò lei, prima che il groviglio la inghiottisse completamente.

Ermes rimase lì, paralizzato dall'orrore, il respiro che usciva in rantoli spezzati. Il bosco era tornato silenzioso, come se nulla fosse accaduto.

Con le gambe tremanti, Ermes si voltò per fuggire, solo per trovarsi faccia a faccia con una figura incappucciata. L'essere, se tale si poteva definire, emanava un'aura di gelo e disperazione.

"Chi... cosa sei?" balbettò Ermes.

La figura sollevò lentamente una mano scheletrica, indicando un punto alle spalle di Ermes. "Sono ciò che attende tutti coloro che osano disturbare il sonno dell'Altopiano," rispose con una voce che sembrava provenire dalle profondità della terra.

Ermes si voltò lentamente, seguendo la direzione indicata. Lì, dove prima c'era il groviglio di vegetazione, ora si ergeva un albero antico e contorto. E incastonata nel suo tronco, come un bassorilievo grottesco, c'era il volto di Marina, la bocca aperta in un grido silenzioso.

La mente di Ermes si spezzò. Con un urlo di puro terrore, si lanciò nella foresta, correndo senza meta, inseguito dalle risa spettrali della figura incappucciata e dal volto tormentato di Marina.


Quattro giorni dopo, una squadra di ricerca trovò Ermes e Marina in una radura poco distante da Asiago. Erano vivi, ma le loro menti erano andate. Ermes non faceva altro che mormorare di alberi viventi e figure incappucciate, mentre Marina fissava il vuoto, le sue dita che si muovevano costantemente come se stessero cercando di afferrare qualcosa.

I medici diagnosticarono un caso di psicosi indotta dallo stress e dalla disidratazione. Ma nelle notti di luna piena, quando il vento soffia tra gli alberi dell'Altopiano di Asiago, si dice che si possano ancora sentire le loro grida, un monito per tutti coloro che osano sfidare i segreti oscuri celati tra quelle montagne apparentemente tranquille.

 

Se vi interessa sapere com'è andata in realtà... 

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